L’obiettivo perseguito quando si agisce in giudizio per lo scioglimento di una comunione ereditaria, è quello di far cessare lo stato giuridico della comunione e di appropriarsi della porzione di cui si ha diritto.
Il primo scopo è strettamente connesso all’esercizio del diritto potestativo alla divisione nelle forme della domanda giudiziale, mentre il secondo prescinde dalle richieste della parte, in quanto il giudice provvede in modo autonomo a determinare le porzioni e ad attribuirle ai condividenti, poiché la scelta delle relative modalità esula dal contenuto sostanziale della domanda di scioglimento della comunione e rientra nell’ambito del potere discrezionale riservato al giudice nel compimento delle operazioni divisionali.[1]
Nel giudizio di divisione della cosa comune, il risultato finale della trasformazione dei diritti pro quota dei singoli partecipanti in altrettanti diritti individuali di proprietà esclusiva su concrete e determinate porzioni di beni comuni si attua attraverso tre fasi fondamentali: la fase della c.d. assificazione, quella della formazione delle quote e quella della attribuzione, e tale sequenza ha carattere progressivo.
Sovente, nel momento della divisione della massa ereditaria, si palesano delle problematiche laddove siano presenti dei beni immobili di non agevole divisibilità.
A tal proposito, l’art. 720 c.c. statuisce che “Se nell'eredità vi sono immobili non comodamente divisibili [560 c.c.], o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia [722, 846 c.c.] o dell'igiene, e la divisione dell'intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all'incanto [2646 c.c.; 748, 788 c.p.c.]”.
Occorre preliminarmente specificare che con l’espressione "non comodamente divisibili" si intendono quei beni che per essere divisi, richiederebbero soluzioni tecniche costose o la cui divisione ne comprometterebbe la funzionalità o il valore, tenendo conto anche della loro destinazione e utilizzo.
Dunque, laddove il frazionamento non si possa attuare mediante la determinazione di porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non gravate da servitù e limitazioni eccessive, o laddove vi sia la necessità di affrontare e risolvere problemi tecnici che richiedano di sostenere costi eccessivi, che si presentino particolarmente complessi ovvero determinino un notevole deprezzamento del valore delle singole porzioni rispetto all'intero, lo scioglimento della comunione può realizzarsi anche mediante l'attribuzione dell'intero immobile ad uno dei condividenti previa corresponsione del conguaglio a favore delle altre parti non assegnatarie oppure attraverso la vendita a terzi dell'immobile e la conseguente distribuzione del ricavato in proporzione alle quote di partecipazione alla comunione dei ciascuno dei partecipanti.
Va detto, inoltre, che pur parlando di beni immobili, la disposizione in esame è altresì applicabile alle aziende, ai beni mobili e ai beni assolutamente indivisibili, poiché la divisione farebbe venire meno l'uso a cui sono destinati.
La ratio legis di tale disciplina è ravvisabile, pertanto, nella circostanza per la quale nel momento in cui la divisione in natura non è realizzabile senza recare pregiudizio alla funzionalità o al valore economico dei beni, è preferibile sacrificare il diritto dei singoli eredi a ricevere una parte di tutti i beni del patrimonio ereditario, in proporzione alla propria quota.
Nonostante ciò, la Cassazione Civile, con sentenza n. 22663/2015 ha affermato l’importante principio in virtù del quale "...in tema di divisione ereditaria, nel caso in cui uno o più immobili non risultino comodamente divisibili, il giudice ha il potere discrezionale di derogare al criterio, indicato dall'art. 720 c.c., della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purché assolva all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata ".
Ad avviso della giurisprudenza più attuale, quindi, vi sarebbero due orientamenti sul tema della scelta nell’assegnazione dei beni ai vari eredi. Il primo, più risalente, afferma che è possibile la deroga generale al criterio dell’assegnazione dei beni ereditari al maggior quotista solo se vi sono ragioni di opportunità rispondenti ad esigenze comuni e motivate, mentre il secondo, più recente, sostiene che esiste per i Giudici un potere discrezionale di deroga al criterio della preferenziale assegnazione, vincolato soltanto all’obbligo dell’adeguata e logica motivazione.
[1] V. Cass. 8 settembre 1986, n. 5462.
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